Un Lidò di felicità nella città senza spiagge…
La cosa più strana sembra sia stato proprio il nome con cui venne battezzato: Lidò.
Con l’accento sull’ultima vocale visto che i francesi sugli accenti si giocano la reputazione (e non solo quella…).
Se non mi credete, provate a pronunciare la frase “Avant, parce que après c’est pendant”.
Con un accento sussurrato significa: “Prima, perché dopo è durante”.
Con un altro – vibrato dalle labbra a culo di gallina – prende un significato diametralmente opposto e pornografico: “Prima, perché dopo è pendente”.
Insomma, Lidò!
Con l’accento sulla ò per connotarlo di francesità e farne differenza con il lido di Venezia.
Glamour come la città della laguna, ma con l’infinita seduttività della Ville Lumière.
“In quel teatro si va per sognare…”
Così scrivevano i giornali del tempo, all’indomani della fine di una guerra feroce e sanguinaria.
C’erano le ballerine, sì… certo, c’erano loro: le divine “Bluebell Girls”, ma c’era, soprattutto, il desiderio di dimenticare e di essere felici.
Il piacere di trovarsi in quel luogo, inondato di luci e bellezza, era pari a quello di avere superato – indenni – la follia sterminatrice del conflitto.
D’altronde il nome “Bluebell” questo voleva significare.
Un fiore australiano simbolo della fiducia nella vita, i cui effluvi sparsi sul corpo creano ottimismo e uno stato di allegria contagiosa.
Secondo la tradizione, il “Bluebell” promuove l’apertura dei chakra del cuore e la fame di felicità nei soggetti che si sono allontanati dall’allegria.
Per questo motivo la coreografa Margaret Kelly Leibovici scelse quel nome per il suo corpo di ballo.
Quante stelle del firmamento musicale potevano essere ammirate nel loro splendore!
Edith Piaf, Marlene Dietrich, Josephine Baker, le gemelle Kessler, Gloria Paul, Elton John, Shirley MacLaine. Erano solo alcuni dei nomi scolpiti nella “hall of fame” degli Champs-Élysées, tutti a brillare dell’immensa luce di notti spettacolari.
Nei settanta anni di storia – vissuti sempre al massimo del massimo – più di diecimila ballerine si sono avvicendate sul quel proscenio.
Solo le più belle del mondo avevano l’opportunità di indossare quei corsetti inondati di strass e piume per inscenare il più esotico e travolgente dei can-can.
Immancabili erano le storie d’amore esplose nell’istante di uno sguardo tra la sala ed il proscenio.
Stuoli di uomini attesero l’uscita delle stars con le braccia ricolme di rose nella speranza che l’amore potesse sbocciare come quei fiori.
Adesso cala il sipario, per sempre, in quel luogo di mondiale felicità.
Diventerà (forse) un cinema multisala come tanti ve ne sono.
È il destino della globalizzazione che sostituisce alle librerie i negozi di mutande.
Nella tristezza dell’avvicendamento c’è il senso contraddittorio dei nostri tempi ammalati di infelicità.
Un limbo spento senza più Bluebell.
Ma se una storia può ancora lasciarsi alla memoria di quel passato luminoso di strass e paillettes, val bene – oggi – ricordarla. È un modo, questo, per non sentirsi definitivamente fregati dalla vita…