Un’anima coloniale eroica, brillanti tonalità di morbide sete che rendono vivido il ricordo di un nobile passato e un forte odore di anice verde del liquoroso anisetta, talmente intenso da profumare l’intera città. E’ il “Cafè Tantonville”, uno dei locali più antichi e popolari di Algeri, con la sua leggendaria terrazza che domina sul rigoglioso giardino pubblico della piazza Touati-Mohamed, meglio conosciuta con il nome di Port-Saïd, fascino nostalgico di un luogo storico che ha conosciuto le glorie della letteratura, degli affari, della politica, delle arti, della scienza, luogo di feste e incontri, dove era bello mostrarsi e farsi conoscere, posto perfetto per trovare un posto nella società.
La storia del “Cafè Tantonville”, racconta dei fratelli Tourtel e della loro idea di aprire, nel 1870, un birrificio chiamato Tourtel-Tantonville che, in breve tempo, divenne il “Cafe de les artistes”, simbolo di cultura e arte, di sapere e sapienza, luogo preferito di giornalisti, filosofi, poeti, letterati e artisti, che, al tramonto del Romanticismo, dibattevano e si confrontavano, mentre seduti nella terrazza fiorita di rosso intenso del Cafè Tantonville, si inebriavano di profumi di tajine e bourek, di meswi, dolma e kseksou, dall’odore acre di pomodoro stufato, cucinati nella vicina Medina.
La Casbah di Algeri, tesoro del patrimonio dell’Unesco, incarnazione dello splendore del patrimonio algerino, con le sue solide case bianche fatte di argilla, legno e pietra, e le stradine che scendono a cascata verso il Mediterraneo, quasi come un labirinto di vicoli e vicoletti, mercato di tappeti e ceste, ceramiche e datteri, dove tradizione e cultura sono un elemento essenziale della vita della Medina, che a tratti scorre a ritroso nel tempo, per scoprire un passato mozzafiato del paese, lo stesso trascorso che si può leggere trovando l’uscita dal libirinto di viuzze che si snodano nella Casbah, quando gli occhi incontrano la via Bab Azzoun, dove nel 1541, noto come Savignac, portabandiera dei Cavalieri di Malta, piantò il suo pugnale nella porta della città fortificata. Una via fiancheggiata da archi costruita nell’Algeri di un tempo, quando i numeri pari di una strada erano considerati più eleganti, così affascinante, da meritarsi, nel 1896, un cortometraggio dei fratelli Lumiére, intitolato Alger: rue Bab-Azoun, che restituisce una visione storica della strada, vivaio di passanti e carrozze. Ed è quello che storicamete amavano vedere gli assidui frequentatori del “Cafè Tantonville”, dalla sua suggestiva terrazza, affacciata sulla vita quotidiana, sotto il piede della colonizzazione francese.
L’ex birrificio dei fratelli Tourtel, dai soffitti alti con modanatura, dove l’arte e la bellezza delle sale interne si riflettono sugli enormi specchi incorniciati da un legno color oro, che ricordano i salotti ottocenteschi, diventò un luogo cosmopolita, crocevia di culture, punto di riferimento mattutino e cenacolo letterario, animato dal confronto di visioni artistiche e filosofiche al gusto di caffè nero algerino e anisetta, liquore dal godurioso odore di anice che inebria le narici, assaporando i maqrout al miele, mentre la vista riposava sul verde lussureggiante del giardino pubblico nella piazza Port-Said, cuore di Algeri, avvolta sempre dalla brezza marina del vicino Mediterraneo.
Raccontano che c’è stato un tempo in cui al “Cafe de les artistes” tutti comprendevano l’idioma di tutti, perchè la mescolanza della lingua araba, turca e di quelle europee, aveva dato vita a un linguaggio universale, un curioso algerino, chiamato “sabir”, una bizzarra lingua franca barbaresca, nota anche come “Petit Mauresque “, molto diffusa anche in Sicilia.
Oggi, quel sabir, forse una storpiatura del termine spagnolo “saber”, che dal Medioevo fino alla metà dell’Ottocento si parlava in tutti porti del Mediterraneo, non è difficile sentirlo riecheggiare nei suoni vocali illustri che un tempo discutevano di arte e cultura, di narrazione letteraria e filosofia, di musica e compositori, e se la vista non tradisce e la buona sorte aiuta a sedersi lì, dove è stata lasciata traccia di memoria incisa nel legno di un tavolino, si possono interpretare frammenti di appunti di chi il “Cafè Tantonville” lo ha vissuto come luogo di ispirazione, come una strana coppia di filosofi, un pied-noir franco-algerino e un figlio della borghesia francese, che amava trascorre il tempo, bevendo l’aromatico anisetta, parlando della precarietà della vita, della banalità dell’esistenza e della solitudine di fronte alla morte.
Erano Albert Camus, scrittore e filosofo, che nel 1957, a soli 44 anni, vinse il premio Nobel della letteratura, e Jean Paul Sartre, padre della corrente filosofica dell’esistenzialismo, insieme filosoficamente appassionati al “Cafè Tantonville, uniti dalla ricerca ontologica sull’uomo e sul senso del mondo. Era il loro posto preferito e amavano stare seduti guardando l’imponente architettura del Teatro Mahieddine Bachtarzi, il Teatro Nazionale Algerino, pensato e progettato con uno stile Revivol barocca, che ha resistito anche a un incedio, che nel 1882 distrusse parte delle bellezze architettoniche della piazza Port-Saïd, la stessa piazza che il famoso cantante francese, di origini armene, si godeva dalla terrazza del cafè. Charles Aznavour, il “bohèmien” ricordato e amato dagli algerini, ambasciatore della canzone francese, “terzo pianeta dopo il sole” cosi descritto da Idir, pseudonimo di Hamid Cheriet, famoso musicista berbero, che con lui ha duettato la “Bohème”, la canzone simbolo di Charles, scritta insieme al petroliere francese, Jacques Plante, punto fermo della chanson francese.
Inutile dirlo ma essenziale precisarlo, l’Algeria è una terra che ti rapisce, con la sua architettura unica, con i suoi atipici colori di rara bellezza, che ricodano i toni della natura, del deserto, intrisi di blu Mediterraneo.