I musicisti sono tutti diversi, legati tra loro da una sensibilità che li accomuna: la generosità. Quando suonano offrono il loro mondo interiore e ognuno ha un rapporto personalissimo con lo strumento. Un pianoforte per esempha solo 88 tasti, 52 bianchi e 36 neri, ma quante emozioni si possono ottenere… Ho conosciuto Silvia Vaglica al Teatro Massimo di Palermo durante il Concerto delle formazioni giovanili. Le è un’artista molto talentuosa, ammessa al Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini di Palermo all’età di 7 anni nella classe di pianoforte; sin da bambina si è esibita di fronte al grande pubblico da solista, in gruppi da camera e con importanti orchestre sinfoniche, ottenendo importanti riconoscimenti in Italia e all’estero. Non mi era mai capitato di sentire una pianista con la sua forza creativa. Quando Silvia suona crea una magia, una dimensione particolare. Sono rimasto così profondamente toccato da complimentarmi con il Direttore e Sovrintendente del Teatro Massimo, Marco Betta e da volerla intervistare.
Che bambina sei stata ?
“Sono sempre stata un’entusiasta; da piccola ero dinamica e curiosa, nella mia infanzia passavo le giornate con i miei nonni in campagna, a contatto con la natura. Nei miei primi anni ero solita non dormire la notte e mia madre mi coinvolgeva in attività musicali che mi hanno sempre appassionato, suonando con lei fino alle prime ore del mattino inizialmente come un gioco. Da bambina mi sono dedicata per un periodo anche alla danza classica, non sono mai stata timida; sentivo il bisogno di essere uno strumento di espressione ed ero e sono un’instancabile perfezionista”.
Quando è iniziata la tua avventura nel mondo della musica?
“C’è stato un momento in cui ho sentito la necessità di rendere la passione per la musica un impegno, uno studio approfondito. I miei genitori mi educato alla bellezza della grande musica colta, portandomi ai loro concerti, e io sognavo un giorno di poter trasmettere quella potenza di vita che emoziona e sconvolge nello stesso tempo. A 7 anni sono stata ammessa al conservatorio di Palermo e da lì il pianoforte è stato il mio strumento di realizzazione”.
Come sarebbe stata la tua vita senza il pianoforte?
“Questo strumento è stato sempre presente ancor prima che nascessi, c’è un legame ancestrale che mi lega alla musica e se non mi fossi imbattuta nel piano penso che la mia esistenza non avrebbe avuto la stessa pienezza nelle esperienze, negli incontri e nell’intensità delle emozioni”.
Il primo pianoforte della tua vita?
“Quando sono nata, avevamo già più di un pianoforte a casa, in particolare ho potuto ascoltare e suonare da bambina il Bösendorfer Grand piano 200. Ricordo, che osservavo con stupore il colore bronzeo e dorato del telaio, le corde robuste dei bassi, amando sempre di più quello strumento dal suono corposo e profondo che ancora oggi è la mia fonte di ricerca sonora e al quale dedico le ultime esecuzioni prima dei grandi concerti”.
Qual è il primo brano che hai eseguito?
“La prima composizione in assoluto non so come si chiamasse perché ero molto piccola e non ne ho memoria, ma quando sono entrata in conservatorio ricordo benissimo di aver eseguito, tra i primi brani, i minuetti Bach e i preludi di Šostakovič”.
Il rapporto con la tua famiglia.
“La mia famiglia mi è stata sempre vicino e di esempio; dai miei nonni ai miei genitori, dagli zii ai cugini, ho tratto i valori più alti su cui basare ogni cosa come il sacrificio, il duro lavoro, l’autenticità, la tenacia e la Fede. I miei genitori sono entrambi musicisti e docenti (mia madre percussionista, mio padre organista) e mi hanno sostenuta anche nel mio percorso professionale, affidandomi a ottimi maestri. Abbiamo personalità molto diverse e distinte e per questo le nostre identità musicali hanno tutte il proprio posto nel mondo, senza farci ombra”.
Cosa senti prima di andare in scena, cosa succede nella tua mente?
“Prima di entrare sul palco, in testa è come se scoppiasse un big bang e un’enorme massa di energia che procede in avanti creando nuovi mondi. Ecco i miei pensieri prima di suonare raccolgono la luce di tutto il bene vissuto per ridonarlo. Il carico di energia è talmente potente da non farmi dormire i giorni seguenti perché ancora l’universo della mia mente si espande e io con lui. È questo che rende ogni brano edificante e sempre nuovo, e ogni esperienza concertistica una vera rinascita”.
I musicisti sono considerati i grandi benefattori dell’umanità.
“Si, penso che la musica salvi e doni uno slancio nuovo all’anima di chi l’ascolta. I musicisti sono persone che danno tutto per quell’istante di infinito. Doniamo il nostro tempo, spendiamo le nostre energie migliori per elevare gli altri attraverso la musica, per infondere bellezza ed eleganza, potenza e sensibilità. Il nostro non è un mero spazio esibizionistico, ma un ponte armonico per far scoprire la parte migliore a chi ci ascolta”.
Qual è la città dove vorresti suonare?
“In tante città italiane ed estere, in particolare vorrei tornare in America, Nord Europa e Oriente”.
Se Dio fosse un pianista che musica suonerebbe?
“Credo che se fosse un pianista, non suonerebbe solo musica sacra, ma ogni composizione ispirata e aderente allo spirito creativo di chi la compone, musica allo stesso tempo maestosa e meditativa”.
Ami molto Liszt, qual è la sua attualità?
“Ha una profonda capacità comunicativa attraverso un virtuosismo strumentale ora cristallino e un attimo dopo possente, a tratti spiazzante. Liszt è sempre attuale per la sua potenza espressiva, per la bellezza del suo romanticismo e perché ciascuno di noi suonandolo o ascoltandolo può sentire le sfumature e i colori unici della sua musica eterna”.
Progetti per il futuro?
“Molteplici lavori discografici a livello internazionale, continuare a suonare in concerto raggiungendo sempre più persone e di consolidare la mia scuola pianistica sull’esempio dei miei grandi Maestri”.