Illustrazione di Stefano Lo Voi
Chissà quanti altri, prima di me, hanno associato il suo cognome alla sua anima gentile e garbata.
Non erano gli antichi Romani che, in sole due parole, Nomen Omen, riassumevano l’idea che il nome di un uomo battezzasse il suo destino?
Così è stato per Renato Cortese e il suo destino quello di incontrare Palermo nel momento più infelicemente sanguinario della sua storia. Il 1992.
Da investigatore sagace, si rimboccò le maniche e – uno dopo l’altro – catturò una buona quantità di feroci “mammasantissima”.
Tra questi “Iddu”, l’imprendibile.
Ma ogni operazione di polizia, ogni più difficile cattura, aveva il sigillo della sua serena e sorridente aria Cortese – forse sorniona, ma mai arrogante – tanto amata dai panormiti (che gli sbirri mai hanno amato…).
Poi lasciò la città delle panelle e dei crocchè per andare nella capitale del mondo dove ogni cosa riesce a essere crudelmente venale.
Non è questa una mia idea, ma una verità tramandataci dallo storico Sallustio “omnia Romae venalia sunt”, che descrisse come i destini degli uomini cortesi venivano stritolati dalla ferocia della politica.
In quel tempo come adesso.
L’Uomo Cortese fu bruciato, perchè è assai difficile che un’anima pura non arda nel fuoco dell’inganno da altri orchestrato.
Sono gli autodafè che Roma ben conosce e che ritornano, spesso, ad ardere non solo a Campo de Fiori.
La storia, però, è a lieto fine.
In silenzio l’uomo affronta a viso aperto anche questo avverso destino. E vince.
Giustizia trionfa e le ustioni del suo corpo diventano tracce indelebili dell’eroismo fatto di attesa e fede.
Così ritorna a Palermo che gli dona la cittadinanza per Onore.
Il Sindaco, la fanfara, la folla.
Una processione riconoscente davanti all’arco normanno dello Stupor Mundi.
E in effetti un po’ di stupore questo mondo deve farlo a chi – come lui – da Uomo Cortese sa che solo la follia umana e la politica possono, in un solo attimo, proiettarti dal cielo alla polvere e viceversa…